AC MILAN

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05/02/2017 00:04

Re: Re:
pliskiss, 04/02/2017 21.04:




E' pelato come il mio culo [SM=x44450]




Il mio sarebbe più folto ;)
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05/02/2017 00:09

Re: Re: Re:
Freedom's promoter, 05/02/2017 0:04:




Il mio sarebbe più folto ;)



[SM=x44452] [SM=x44454]
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05/02/2017 06:26

è ufficiale

la cordata ha circa 500 milioni per completare l'acquisto del milan, un centinaio da destinare alla prossima sessione di calciomercato e una ottantina per ripianare le perdite accumulate dopo la firma del contratto preliminare (così come prevedono gli accordi) e garantire l’ordinaria amministrazione.

per il 3 marzo sarà tutto pronto [SM=x44520]

www.calciomercato.com/news/milan-cinese-l-attesa-e-finita-pronti-500-milioni-per-il-rilan...
[Modificato da their 05/02/2017 06:28]

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05/02/2017 12:13

Re:
their, 05/02/2017 06.26:

è ufficiale

la cordata ha circa 500 milioni per completare l'acquisto del milan, un centinaio da destinare alla prossima sessione di calciomercato e una ottantina per ripianare le perdite accumulate dopo la firma del contratto preliminare (così come prevedono gli accordi) e garantire l’ordinaria amministrazione.

per il 3 marzo sarà tutto pronto [SM=x44520]

www.calciomercato.com/news/milan-cinese-l-attesa-e-finita-pronti-500-milioni-per-il-rilan...




Cioè in totale i compratori sborserebbero circa 680 milioncini?
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05/02/2017 12:27

Re: Re:
Arcanna Jones, 05/02/2017 12.13:




Cioè in totale i compratori sborserebbero circa 680 milioncini?




che poi alla fine è poco meno della cifra che aveva in mente Silvietto [SM=x44461]
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05/02/2017 12:29

Re:
pliskiss, 04/02/2017 00.15:

Un saluto sponsor ai vecchi amici, chissà se i lacci dello striscione sono ancora scassati?? [SM=x44463]




Anche tu Plis andavi allo stadio a tenere quello stesso striscione? [SM=x44466]
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05/02/2017 12:57

Re: Re: Re:
Pipallo, 05/02/2017 12.27:




che poi alla fine è poco meno della cifra che aveva in mente Silvietto [SM=x44461]




Alla fine riesce a ottenere sempre quello che vuole [SM=x44461]
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05/02/2017 13:02

Re:
cicciomacho, 26/10/2016 08.42:

[IMG]http://i65.tinypic.com/2n99kw3.jpg[/IMG]




Scusate, lungi da me fare dietrologia ma... nessuno ha pensato ai buoni rapporti tra Galliani e la Juve e che nella particolare situazione di vendita della società... potrebbe tornare utile alle trattative una vittoria sulla dominatrice incontrastata dei campionati italiani degli ultimi anni...? [SM=x44473]

Che poi questo risultato suona molto strano, quasi sospetto.... [SM=x44466]
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05/02/2017 13:24

Omaggio a plis e a tutti gli amanti del calcio giocato
Questo è a mio avviso, è quello che si dice un giocatore completo.

Marco Van Basten: l’eterno volo del Cigno


Oggi raccontiamo una fiaba. Che essendo una fiaba, e non una favola, forse un lieto fine non ce l’ha. Le fiabe stanno lì per farci immedesimare nei personaggi, per farci capire com’è che va la vita, per farci la morale. Per dimostrare che non è come dicono le favole, che non vivono sempre tutti felici e contenti, che l’esistenza è fatta di gioia ma anche di dolore.

Già, il dolore, l’eterno compagno. A volte un semplice fastidio, altre una sensazione lancinante, che non ti permette neanche di poggiare i piedi a terra. E per te, che con i piedi ci lavori, ci vivi e ci dipingi calcio, non può essere un problema come un altro. E allora ti fermi, una, due, tre, quattro volte, mesi che sommati fanno anni, giorni che nessuno ridarà mai a te e al calcio. È un punto delicato la caviglia, anche per chi come te è leggiadro, leggero, che quando hai il pallone tra i piedi sembri danzare più che correre. Il tuo fisico dinoccolato trae tutti in inganno, dovresti essere sgraziato come un anatroccolo ed invece sei bello e coordinato come un cigno. Ma il cigno è animale fragile e le cui ali a volte si spezzano. Eppure lotta, non si limita a sopravvivere, ma si staglia nel cielo prima di gettarsi in picchiata e, tra una giravolta e l’altra, dare un’occhiata al mondo mentre lui, lì in alto, vola.



Vola, come quella palla che arriva sul tuo piede quasi senza pretese, in un pomeriggio di giugno di tanti anni fa. Carina Monaco di Baviera, ma non ci vivrei. Questo probabilmente pensi, tu che sei olandese e che come tanti connazionali della Germania non puoi avere una buona opinione, storica o calcistica che sia. Il sogno di quando eri bambino si era infranto lì, in quello stadio. Un sogno nato in un minuto e mezzo e terminato in novanta. Eppure tu, come tutti i tuoi coetanei, te la ricordi quella sequela di passaggi, che aveva portato al rigore dell’uno a zero. La sai a memoria, come le filastrocche che si cantano ai bambini per farli addormentare. E la ripeti a te stesso mentre il pallone dolcemente scende, per darti il coraggio di tentare. Di prendere per i capelli l’incubo di un’altra rimonta e di lasciartelo alle spalle.

Quando impatta con il tuo piede destro, la sfera quasi esplode. Dentro il tuo calcio c’è tutto, c’è la storia calcistica passata, presente e futura di una nazione intera. C’è l’inutile gol di Neeskens di quattordici anni prima, c’è l’urlo di Resenbrink strozzato da un palo argentino, c’è, non puoi ancora saperlo ma di sicuro c’è, il pianto disperato di Sneijder su un prato verde di Johannesburg. C’è la rabbia degli eterni perdenti, di quelli che per ottenere il minimo devono fare l’impossibile. Come impossibile è la posizione da cui tiri, troppo defilata per combinare davvero qualcosa. Ma tu lo senti che è il momento giusto, l’attimo in cui tutti gli astri possibili si allineano e calci, più forte di quanto tu abbia mai fatto. Ed il pallone ruggisce, proprio come il leone che hai sul petto. Almeno per una volta, NOI. POSSIAMO. VINCERE.



Perché vincere è stato il tuo mestiere. E non da semplice comprimario. Tu sei uno di quelli che i bambini vogliono imitare, quello che anche le nonne che non sanno neanche come è fatto un pallone hanno sentito nominare almeno una volta, sei il calciatore più forte d’Europa. Anzi, forse del mondo intero. In una eterna ed animalesca lotta per la supremazia calcistica, il cigno venuto dalla terra strappata al mare si scontra con il torello della pampa, una, dieci, cento, mille volte. E noi tutti lì intorno a guardare, a chiederci chi dei due stavolta prevarrà sull’altro, chi trascinerà i suoi alla vittoria, chi potrà alzare le braccia al cielo mentre l’altro trattiene le lacrime.

E vengono in mente le tue di lacrime, ma anche le mie, le nostre, le lacrime di tutti quelli che in vita loro hanno messo anche solo un briciolo di cuore nel vedere un pallone rotolare su un campo di calcio, quando ci annunci che è finita. Che la caviglia non regge, che non è possibile neanche provare. Che gli ultimi due anni di calvario sono stati totalmente inutili. Che a trent’anni appena compiuti uno dei migliori calciatori di tutti i tempi deve appendere gli scarpini al chiodo. Che il cigno non volerà più. È così che nasce il vuoto, dalla privazione improvvisa e irreparabile di un principio, dalla coscienza che qualcosa c’era e che ora, di colpo, non tornerà più. La maglia numero nove, le coppe, persino i Palloni d’Oro perdono di significato quando diventano passato. Ogni ricordo ferisce il cuore e lascia lo stomaco sottosopra.

Sottosopra proprio come tu hai visto il mondo una sera di novembre. È il 1992, quella stramaledetta caviglia fa male ormai da tanto, eppure sei in campo. E non si nota che stai soffrendo, non si può neanche immaginare che sia così, perché tra quelle zolle, come al solito, ti muovi leggero ma letale, quasi più come un felino che come un cigno. Ma le ali ce le hai, lo sai tu e lo sappiamo noi, che non ci meravigliamo quindi quando ti stacchi da terra e decidi che l’unico modo possibile per colpire quel pallone arrivato al limite dell’area è proprio quello lì, la rovesciata. E rischi, perché le caviglie malandate sono due. Certo, la sinistra più della destra, ma anche l’altra ti ha fatto soffrire. Come ti ha fatto soffrire il ginocchio. Il tuo corpo te lo ha gridato per tutta la tua carriera, Marco Van Basten, non sei fatto per volare. Ma come il famoso calabrone, tu non lo sai e voli lo stesso.

O forse lo sai, convivi con la coscienza della tua fragilità, ma non per questo ti tiri indietro. E allora salti, contrasti, dribbli, eviti interventi sciagurati, ti getti a capofitto in una selva di gambe, tutto per poter alzare le braccia al cielo e sentire l’urlo della folla, per sapere che anche questa volta ce l’hai fatta, che la tua forza ha avuto di nuovo la meglio sulla sfortuna e sul destino. I tuoi antenati hanno lottato contro la marea per non vedersi portare via il futuro. Tu, nel tuo piccolo, quella lotta la ripeti ogni giorno, per dimostrare a te stesso e agli altri che l’unico limite è nella propria testa.



Con la testa tu ci segni, e tanto. Ma ci giochi anche. E non potrebbe essere altrimenti, dato che il tuo Maestro te lo ha inculcato sin da quando sei arrivato all’Ajax. L’importante non è correre tanto, ma correre bene. Probabilmente te l’ha anche sussurrato quando, nell’ormai lontano 1981, ti ha abbracciato e ti ha lasciato il posto in campo nel giorno del tuo esordio tra i grandi. Chissà quante volte te li sei ripetuti in testa quei piccoli grandi mantra. Il pallone è uno solo, ed è meglio che ce lo abbia tu. Se cominci a correre un attimo prima degli altri sembrerai più veloce. E soprattutto, devi essere in grado di capire in anticipo cosa sta per accadere. Solo così potrai essere sempre al posto giusto nel momento giusto.

Trecento volte più una, ecco quante volte ti sei trovato esattamente dove dovevi essere. Ma è ingeneroso metterla così, perché chissà in quanti casi il momento giusto te lo sei creato tu. L’espressione “fiuto del gol” ti si addice, certo, ma non può spiegare in toto che calciatore eri. L’attaccante totale, dicono. Forse sì, forse no. Per i canoni odierni saresti un nove classico, difficile immaginarti a rincorrere l’avversario nella tua metà campo. Eppure nel tuo modo di intendere il calcio, la giocata non è mai fine a se stessa, ma votata ad un risultato. E se una volta ricevuta la sfera è difficile (ma non impossibile) vederti passarla a un compagno, beh, non è per egoismo, ma semplicemente perché, novantanove volte su cento, quel risultato lo ottieni tu.



E di risultati importanti è costellata la tua carriera. Viene da chiedersi quale altro obiettivo avresti potuto raggiungere se il tuo corpo ti avesse coadiuvato a dovere. Tre Palloni d’Oro possono sembrare pochi nell’era dei Due Alieni, quando quello che ne ha vinti proprio tre (ma potremmo anche contargliene già quattro) ha comunque davanti l’altro, che ne ha in bacheca ben cinque. Ma quei due non sanno cosa sia davvero la competizione. Non hanno idea di cosa significhi dover risplendere in un calcio in cui il più scarso del tuo Milan potrebbe tranquillamente fare il titolare nel Real Madrid di oggi. In cui l’esempio da seguire si chiama Johan e la concorrenza sono Diego e Lothar. Tu un avversario ce l’hai addirittura in casa e fa di cognome Gullit. E assieme a Ruud, e a Frank, a Paolo&Franco, talmente inscindibili da diventare quasi un essere mitologico mezzo Maldini e mezzo Baresi, vinci tutto quello che si può vincere. Più di una volta. Non può essere un caso. E ovviamente non lo è. C’è tanto di te in ogni trionfo di quel Milan, dal colpo di testa in tuffo contro il Real alla doppietta contro la Steaua, dall’assist per l’amico Frank al Prater di Vienna fino alla rete al San Paolo che nel 1988 manda, è proprio il caso di dirlo, il Diavolo in paradiso.

Per te, purtroppo, c’è anche un posticino all’inferno. Un inferno tuo, personalissimo, vissuto con la compostezza del campione e con la tenacia di chi non si vuole arrendere. Tante, troppe operazioni, luminari che non sanno che pesci prendere, stop infiniti e ritorni troppo brevi, fino alla sofferta decisione di smettere. Tra l’ultima partita in maglia rossonera, la sfortunata finale di Coppa Campioni contro il Marsiglia, che tra l’altro giochi in condizioni pessime, e l’addio definitivo passano due anni. E non c’è giorno in cui una fila interminabile di persone non faccia capolino a Milanello a chiedere di te, a cercare di darti forza, mentre tu, davanti allo specchio, probabilmente cominci a renderti conto che la forza da sola non basta più. Come sta Marco? Quando torna Van Basten? Non sono semplici domande, ma piuttosto il grido straziante di una generazione che capisce che il destino gli sta portando via il suo eroe.

Ma anche nel devastante momento del ritiro, nella tristezza dei tanti che come me hanno dovuto ripiegare i poster appesi sui muri e relegare le tue gesta nella gloriosa e malinconica galleria dei ricordi, resta la fortuna di aver potuto ammirare la tua classe immensa. Resta l’amore per questo magnifico gioco che hai saputo instillare in grandi e piccini. E soprattutto resta quella piccola punta di orgoglio che ogni bambino, anche il più scarso di ogni combriccola, ha provato quando, gonfiata la rete, ha potuto alzare le braccia al cielo e sentirsi, anche per un solo istante, Marco Van Basten. Perché se questa è davvero una fiaba, allora Andersen insegna. Non importa che sia nato in un recinto d’anatre: l’importante è essere uscito da un uovo di cigno.

trovata in rete, fattoquotidiano.it
[Modificato da riccardo60 05/02/2017 13:26]
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05/02/2017 13:35

Re: Omaggio a plis e a tutti gli amanti del calcio giocato
riccardo60, 05/02/2017 13.24:

Questo è a mio avviso, è quello che si dice un giocatore completo.

Marco Van Basten: l’eterno volo del Cigno


Ma anche nel devastante momento del ritiro, nella tristezza dei tanti che come me hanno dovuto ripiegare i poster appesi sui muri e relegare le tue gesta nella gloriosa e malinconica galleria dei ricordi, resta la fortuna di aver potuto ammirare la tua classe immensa. Resta l’amore per questo magnifico gioco che hai saputo instillare in grandi e piccini. E soprattutto resta quella piccola punta di orgoglio che ogni bambino, anche il più scarso di ogni combriccola, ha provato quando, gonfiata la rete, ha potuto alzare le braccia al cielo e sentirsi, anche per un solo istante, Marco Van Basten. Perché se questa è davvero una fiaba, allora Andersen insegna. Non importa che sia nato in un recinto d’anatre: l’importante è essere uscito da un uovo di cigno.

trovata in rete, fattoquotidiano.it



Commovente, il ritiro forzato e prematuro di un mito del calcio mondiale.... [SM=x44476]
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E' COME L'ANNO SCORSO E COME L'ANNO PRIMA
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05/02/2017 17:19

Re: Omaggio a plis e a tutti gli amanti del calcio giocato
riccardo60, 05/02/2017 13.24:

Questo è a mio avviso, è quello che si dice un giocatore completo.

Marco Van Basten: l’eterno volo del Cigno


Oggi raccontiamo una fiaba. Che essendo una fiaba, e non una favola, forse un lieto fine non ce l’ha. Le fiabe stanno lì per farci immedesimare nei personaggi, per farci capire com’è che va la vita, per farci la morale. Per dimostrare che non è come dicono le favole, che non vivono sempre tutti felici e contenti, che l’esistenza è fatta di gioia ma anche di dolore.

Già, il dolore, l’eterno compagno. A volte un semplice fastidio, altre una sensazione lancinante, che non ti permette neanche di poggiare i piedi a terra. E per te, che con i piedi ci lavori, ci vivi e ci dipingi calcio, non può essere un problema come un altro. E allora ti fermi, una, due, tre, quattro volte, mesi che sommati fanno anni, giorni che nessuno ridarà mai a te e al calcio. È un punto delicato la caviglia, anche per chi come te è leggiadro, leggero, che quando hai il pallone tra i piedi sembri danzare più che correre. Il tuo fisico dinoccolato trae tutti in inganno, dovresti essere sgraziato come un anatroccolo ed invece sei bello e coordinato come un cigno. Ma il cigno è animale fragile e le cui ali a volte si spezzano. Eppure lotta, non si limita a sopravvivere, ma si staglia nel cielo prima di gettarsi in picchiata e, tra una giravolta e l’altra, dare un’occhiata al mondo mentre lui, lì in alto, vola.



Vola, come quella palla che arriva sul tuo piede quasi senza pretese, in un pomeriggio di giugno di tanti anni fa. Carina Monaco di Baviera, ma non ci vivrei. Questo probabilmente pensi, tu che sei olandese e che come tanti connazionali della Germania non puoi avere una buona opinione, storica o calcistica che sia. Il sogno di quando eri bambino si era infranto lì, in quello stadio. Un sogno nato in un minuto e mezzo e terminato in novanta. Eppure tu, come tutti i tuoi coetanei, te la ricordi quella sequela di passaggi, che aveva portato al rigore dell’uno a zero. La sai a memoria, come le filastrocche che si cantano ai bambini per farli addormentare. E la ripeti a te stesso mentre il pallone dolcemente scende, per darti il coraggio di tentare. Di prendere per i capelli l’incubo di un’altra rimonta e di lasciartelo alle spalle.

Quando impatta con il tuo piede destro, la sfera quasi esplode. Dentro il tuo calcio c’è tutto, c’è la storia calcistica passata, presente e futura di una nazione intera. C’è l’inutile gol di Neeskens di quattordici anni prima, c’è l’urlo di Resenbrink strozzato da un palo argentino, c’è, non puoi ancora saperlo ma di sicuro c’è, il pianto disperato di Sneijder su un prato verde di Johannesburg. C’è la rabbia degli eterni perdenti, di quelli che per ottenere il minimo devono fare l’impossibile. Come impossibile è la posizione da cui tiri, troppo defilata per combinare davvero qualcosa. Ma tu lo senti che è il momento giusto, l’attimo in cui tutti gli astri possibili si allineano e calci, più forte di quanto tu abbia mai fatto. Ed il pallone ruggisce, proprio come il leone che hai sul petto. Almeno per una volta, NOI. POSSIAMO. VINCERE.



Perché vincere è stato il tuo mestiere. E non da semplice comprimario. Tu sei uno di quelli che i bambini vogliono imitare, quello che anche le nonne che non sanno neanche come è fatto un pallone hanno sentito nominare almeno una volta, sei il calciatore più forte d’Europa. Anzi, forse del mondo intero. In una eterna ed animalesca lotta per la supremazia calcistica, il cigno venuto dalla terra strappata al mare si scontra con il torello della pampa, una, dieci, cento, mille volte. E noi tutti lì intorno a guardare, a chiederci chi dei due stavolta prevarrà sull’altro, chi trascinerà i suoi alla vittoria, chi potrà alzare le braccia al cielo mentre l’altro trattiene le lacrime.

E vengono in mente le tue di lacrime, ma anche le mie, le nostre, le lacrime di tutti quelli che in vita loro hanno messo anche solo un briciolo di cuore nel vedere un pallone rotolare su un campo di calcio, quando ci annunci che è finita. Che la caviglia non regge, che non è possibile neanche provare. Che gli ultimi due anni di calvario sono stati totalmente inutili. Che a trent’anni appena compiuti uno dei migliori calciatori di tutti i tempi deve appendere gli scarpini al chiodo. Che il cigno non volerà più. È così che nasce il vuoto, dalla privazione improvvisa e irreparabile di un principio, dalla coscienza che qualcosa c’era e che ora, di colpo, non tornerà più. La maglia numero nove, le coppe, persino i Palloni d’Oro perdono di significato quando diventano passato. Ogni ricordo ferisce il cuore e lascia lo stomaco sottosopra.

Sottosopra proprio come tu hai visto il mondo una sera di novembre. È il 1992, quella stramaledetta caviglia fa male ormai da tanto, eppure sei in campo. E non si nota che stai soffrendo, non si può neanche immaginare che sia così, perché tra quelle zolle, come al solito, ti muovi leggero ma letale, quasi più come un felino che come un cigno. Ma le ali ce le hai, lo sai tu e lo sappiamo noi, che non ci meravigliamo quindi quando ti stacchi da terra e decidi che l’unico modo possibile per colpire quel pallone arrivato al limite dell’area è proprio quello lì, la rovesciata. E rischi, perché le caviglie malandate sono due. Certo, la sinistra più della destra, ma anche l’altra ti ha fatto soffrire. Come ti ha fatto soffrire il ginocchio. Il tuo corpo te lo ha gridato per tutta la tua carriera, Marco Van Basten, non sei fatto per volare. Ma come il famoso calabrone, tu non lo sai e voli lo stesso.

O forse lo sai, convivi con la coscienza della tua fragilità, ma non per questo ti tiri indietro. E allora salti, contrasti, dribbli, eviti interventi sciagurati, ti getti a capofitto in una selva di gambe, tutto per poter alzare le braccia al cielo e sentire l’urlo della folla, per sapere che anche questa volta ce l’hai fatta, che la tua forza ha avuto di nuovo la meglio sulla sfortuna e sul destino. I tuoi antenati hanno lottato contro la marea per non vedersi portare via il futuro. Tu, nel tuo piccolo, quella lotta la ripeti ogni giorno, per dimostrare a te stesso e agli altri che l’unico limite è nella propria testa.



Con la testa tu ci segni, e tanto. Ma ci giochi anche. E non potrebbe essere altrimenti, dato che il tuo Maestro te lo ha inculcato sin da quando sei arrivato all’Ajax. L’importante non è correre tanto, ma correre bene. Probabilmente te l’ha anche sussurrato quando, nell’ormai lontano 1981, ti ha abbracciato e ti ha lasciato il posto in campo nel giorno del tuo esordio tra i grandi. Chissà quante volte te li sei ripetuti in testa quei piccoli grandi mantra. Il pallone è uno solo, ed è meglio che ce lo abbia tu. Se cominci a correre un attimo prima degli altri sembrerai più veloce. E soprattutto, devi essere in grado di capire in anticipo cosa sta per accadere. Solo così potrai essere sempre al posto giusto nel momento giusto.

Trecento volte più una, ecco quante volte ti sei trovato esattamente dove dovevi essere. Ma è ingeneroso metterla così, perché chissà in quanti casi il momento giusto te lo sei creato tu. L’espressione “fiuto del gol” ti si addice, certo, ma non può spiegare in toto che calciatore eri. L’attaccante totale, dicono. Forse sì, forse no. Per i canoni odierni saresti un nove classico, difficile immaginarti a rincorrere l’avversario nella tua metà campo. Eppure nel tuo modo di intendere il calcio, la giocata non è mai fine a se stessa, ma votata ad un risultato. E se una volta ricevuta la sfera è difficile (ma non impossibile) vederti passarla a un compagno, beh, non è per egoismo, ma semplicemente perché, novantanove volte su cento, quel risultato lo ottieni tu.



E di risultati importanti è costellata la tua carriera. Viene da chiedersi quale altro obiettivo avresti potuto raggiungere se il tuo corpo ti avesse coadiuvato a dovere. Tre Palloni d’Oro possono sembrare pochi nell’era dei Due Alieni, quando quello che ne ha vinti proprio tre (ma potremmo anche contargliene già quattro) ha comunque davanti l’altro, che ne ha in bacheca ben cinque. Ma quei due non sanno cosa sia davvero la competizione. Non hanno idea di cosa significhi dover risplendere in un calcio in cui il più scarso del tuo Milan potrebbe tranquillamente fare il titolare nel Real Madrid di oggi. In cui l’esempio da seguire si chiama Johan e la concorrenza sono Diego e Lothar. Tu un avversario ce l’hai addirittura in casa e fa di cognome Gullit. E assieme a Ruud, e a Frank, a Paolo&Franco, talmente inscindibili da diventare quasi un essere mitologico mezzo Maldini e mezzo Baresi, vinci tutto quello che si può vincere. Più di una volta. Non può essere un caso. E ovviamente non lo è. C’è tanto di te in ogni trionfo di quel Milan, dal colpo di testa in tuffo contro il Real alla doppietta contro la Steaua, dall’assist per l’amico Frank al Prater di Vienna fino alla rete al San Paolo che nel 1988 manda, è proprio il caso di dirlo, il Diavolo in paradiso.

Per te, purtroppo, c’è anche un posticino all’inferno. Un inferno tuo, personalissimo, vissuto con la compostezza del campione e con la tenacia di chi non si vuole arrendere. Tante, troppe operazioni, luminari che non sanno che pesci prendere, stop infiniti e ritorni troppo brevi, fino alla sofferta decisione di smettere. Tra l’ultima partita in maglia rossonera, la sfortunata finale di Coppa Campioni contro il Marsiglia, che tra l’altro giochi in condizioni pessime, e l’addio definitivo passano due anni. E non c’è giorno in cui una fila interminabile di persone non faccia capolino a Milanello a chiedere di te, a cercare di darti forza, mentre tu, davanti allo specchio, probabilmente cominci a renderti conto che la forza da sola non basta più. Come sta Marco? Quando torna Van Basten? Non sono semplici domande, ma piuttosto il grido straziante di una generazione che capisce che il destino gli sta portando via il suo eroe.

Ma anche nel devastante momento del ritiro, nella tristezza dei tanti che come me hanno dovuto ripiegare i poster appesi sui muri e relegare le tue gesta nella gloriosa e malinconica galleria dei ricordi, resta la fortuna di aver potuto ammirare la tua classe immensa. Resta l’amore per questo magnifico gioco che hai saputo instillare in grandi e piccini. E soprattutto resta quella piccola punta di orgoglio che ogni bambino, anche il più scarso di ogni combriccola, ha provato quando, gonfiata la rete, ha potuto alzare le braccia al cielo e sentirsi, anche per un solo istante, Marco Van Basten. Perché se questa è davvero una fiaba, allora Andersen insegna. Non importa che sia nato in un recinto d’anatre: l’importante è essere uscito da un uovo di cigno.

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Re: Omaggio a plis e a tutti gli amanti del calcio giocato
riccardo60, 05/02/2017 13.24:

Questo è a mio avviso, è quello che si dice un giocatore completo.

Marco Van Basten: l’eterno volo del Cigno


Oggi raccontiamo una fiaba. Che essendo una fiaba, e non una favola, forse un lieto fine non ce l’ha. Le fiabe stanno lì per farci immedesimare nei personaggi, per farci capire com’è che va la vita, per farci la morale. Per dimostrare che non è come dicono le favole, che non vivono sempre tutti felici e contenti, che l’esistenza è fatta di gioia ma anche di dolore.

Già, il dolore, l’eterno compagno. A volte un semplice fastidio, altre una sensazione lancinante, che non ti permette neanche di poggiare i piedi a terra. E per te, che con i piedi ci lavori, ci vivi e ci dipingi calcio, non può essere un problema come un altro. E allora ti fermi, una, due, tre, quattro volte, mesi che sommati fanno anni, giorni che nessuno ridarà mai a te e al calcio. È un punto delicato la caviglia, anche per chi come te è leggiadro, leggero, che quando hai il pallone tra i piedi sembri danzare più che correre. Il tuo fisico dinoccolato trae tutti in inganno, dovresti essere sgraziato come un anatroccolo ed invece sei bello e coordinato come un cigno. Ma il cigno è animale fragile e le cui ali a volte si spezzano. Eppure lotta, non si limita a sopravvivere, ma si staglia nel cielo prima di gettarsi in picchiata e, tra una giravolta e l’altra, dare un’occhiata al mondo mentre lui, lì in alto, vola.



Vola, come quella palla che arriva sul tuo piede quasi senza pretese, in un pomeriggio di giugno di tanti anni fa. Carina Monaco di Baviera, ma non ci vivrei. Questo probabilmente pensi, tu che sei olandese e che come tanti connazionali della Germania non puoi avere una buona opinione, storica o calcistica che sia. Il sogno di quando eri bambino si era infranto lì, in quello stadio. Un sogno nato in un minuto e mezzo e terminato in novanta. Eppure tu, come tutti i tuoi coetanei, te la ricordi quella sequela di passaggi, che aveva portato al rigore dell’uno a zero. La sai a memoria, come le filastrocche che si cantano ai bambini per farli addormentare. E la ripeti a te stesso mentre il pallone dolcemente scende, per darti il coraggio di tentare. Di prendere per i capelli l’incubo di un’altra rimonta e di lasciartelo alle spalle.

Quando impatta con il tuo piede destro, la sfera quasi esplode. Dentro il tuo calcio c’è tutto, c’è la storia calcistica passata, presente e futura di una nazione intera. C’è l’inutile gol di Neeskens di quattordici anni prima, c’è l’urlo di Resenbrink strozzato da un palo argentino, c’è, non puoi ancora saperlo ma di sicuro c’è, il pianto disperato di Sneijder su un prato verde di Johannesburg. C’è la rabbia degli eterni perdenti, di quelli che per ottenere il minimo devono fare l’impossibile. Come impossibile è la posizione da cui tiri, troppo defilata per combinare davvero qualcosa. Ma tu lo senti che è il momento giusto, l’attimo in cui tutti gli astri possibili si allineano e calci, più forte di quanto tu abbia mai fatto. Ed il pallone ruggisce, proprio come il leone che hai sul petto. Almeno per una volta, NOI. POSSIAMO. VINCERE.



Perché vincere è stato il tuo mestiere. E non da semplice comprimario. Tu sei uno di quelli che i bambini vogliono imitare, quello che anche le nonne che non sanno neanche come è fatto un pallone hanno sentito nominare almeno una volta, sei il calciatore più forte d’Europa. Anzi, forse del mondo intero. In una eterna ed animalesca lotta per la supremazia calcistica, il cigno venuto dalla terra strappata al mare si scontra con il torello della pampa, una, dieci, cento, mille volte. E noi tutti lì intorno a guardare, a chiederci chi dei due stavolta prevarrà sull’altro, chi trascinerà i suoi alla vittoria, chi potrà alzare le braccia al cielo mentre l’altro trattiene le lacrime.

E vengono in mente le tue di lacrime, ma anche le mie, le nostre, le lacrime di tutti quelli che in vita loro hanno messo anche solo un briciolo di cuore nel vedere un pallone rotolare su un campo di calcio, quando ci annunci che è finita. Che la caviglia non regge, che non è possibile neanche provare. Che gli ultimi due anni di calvario sono stati totalmente inutili. Che a trent’anni appena compiuti uno dei migliori calciatori di tutti i tempi deve appendere gli scarpini al chiodo. Che il cigno non volerà più. È così che nasce il vuoto, dalla privazione improvvisa e irreparabile di un principio, dalla coscienza che qualcosa c’era e che ora, di colpo, non tornerà più. La maglia numero nove, le coppe, persino i Palloni d’Oro perdono di significato quando diventano passato. Ogni ricordo ferisce il cuore e lascia lo stomaco sottosopra.

Sottosopra proprio come tu hai visto il mondo una sera di novembre. È il 1992, quella stramaledetta caviglia fa male ormai da tanto, eppure sei in campo. E non si nota che stai soffrendo, non si può neanche immaginare che sia così, perché tra quelle zolle, come al solito, ti muovi leggero ma letale, quasi più come un felino che come un cigno. Ma le ali ce le hai, lo sai tu e lo sappiamo noi, che non ci meravigliamo quindi quando ti stacchi da terra e decidi che l’unico modo possibile per colpire quel pallone arrivato al limite dell’area è proprio quello lì, la rovesciata. E rischi, perché le caviglie malandate sono due. Certo, la sinistra più della destra, ma anche l’altra ti ha fatto soffrire. Come ti ha fatto soffrire il ginocchio. Il tuo corpo te lo ha gridato per tutta la tua carriera, Marco Van Basten, non sei fatto per volare. Ma come il famoso calabrone, tu non lo sai e voli lo stesso.

O forse lo sai, convivi con la coscienza della tua fragilità, ma non per questo ti tiri indietro. E allora salti, contrasti, dribbli, eviti interventi sciagurati, ti getti a capofitto in una selva di gambe, tutto per poter alzare le braccia al cielo e sentire l’urlo della folla, per sapere che anche questa volta ce l’hai fatta, che la tua forza ha avuto di nuovo la meglio sulla sfortuna e sul destino. I tuoi antenati hanno lottato contro la marea per non vedersi portare via il futuro. Tu, nel tuo piccolo, quella lotta la ripeti ogni giorno, per dimostrare a te stesso e agli altri che l’unico limite è nella propria testa.



Con la testa tu ci segni, e tanto. Ma ci giochi anche. E non potrebbe essere altrimenti, dato che il tuo Maestro te lo ha inculcato sin da quando sei arrivato all’Ajax. L’importante non è correre tanto, ma correre bene. Probabilmente te l’ha anche sussurrato quando, nell’ormai lontano 1981, ti ha abbracciato e ti ha lasciato il posto in campo nel giorno del tuo esordio tra i grandi. Chissà quante volte te li sei ripetuti in testa quei piccoli grandi mantra. Il pallone è uno solo, ed è meglio che ce lo abbia tu. Se cominci a correre un attimo prima degli altri sembrerai più veloce. E soprattutto, devi essere in grado di capire in anticipo cosa sta per accadere. Solo così potrai essere sempre al posto giusto nel momento giusto.

Trecento volte più una, ecco quante volte ti sei trovato esattamente dove dovevi essere. Ma è ingeneroso metterla così, perché chissà in quanti casi il momento giusto te lo sei creato tu. L’espressione “fiuto del gol” ti si addice, certo, ma non può spiegare in toto che calciatore eri. L’attaccante totale, dicono. Forse sì, forse no. Per i canoni odierni saresti un nove classico, difficile immaginarti a rincorrere l’avversario nella tua metà campo. Eppure nel tuo modo di intendere il calcio, la giocata non è mai fine a se stessa, ma votata ad un risultato. E se una volta ricevuta la sfera è difficile (ma non impossibile) vederti passarla a un compagno, beh, non è per egoismo, ma semplicemente perché, novantanove volte su cento, quel risultato lo ottieni tu.



E di risultati importanti è costellata la tua carriera. Viene da chiedersi quale altro obiettivo avresti potuto raggiungere se il tuo corpo ti avesse coadiuvato a dovere. Tre Palloni d’Oro possono sembrare pochi nell’era dei Due Alieni, quando quello che ne ha vinti proprio tre (ma potremmo anche contargliene già quattro) ha comunque davanti l’altro, che ne ha in bacheca ben cinque. Ma quei due non sanno cosa sia davvero la competizione. Non hanno idea di cosa significhi dover risplendere in un calcio in cui il più scarso del tuo Milan potrebbe tranquillamente fare il titolare nel Real Madrid di oggi. In cui l’esempio da seguire si chiama Johan e la concorrenza sono Diego e Lothar. Tu un avversario ce l’hai addirittura in casa e fa di cognome Gullit. E assieme a Ruud, e a Frank, a Paolo&Franco, talmente inscindibili da diventare quasi un essere mitologico mezzo Maldini e mezzo Baresi, vinci tutto quello che si può vincere. Più di una volta. Non può essere un caso. E ovviamente non lo è. C’è tanto di te in ogni trionfo di quel Milan, dal colpo di testa in tuffo contro il Real alla doppietta contro la Steaua, dall’assist per l’amico Frank al Prater di Vienna fino alla rete al San Paolo che nel 1988 manda, è proprio il caso di dirlo, il Diavolo in paradiso.

Per te, purtroppo, c’è anche un posticino all’inferno. Un inferno tuo, personalissimo, vissuto con la compostezza del campione e con la tenacia di chi non si vuole arrendere. Tante, troppe operazioni, luminari che non sanno che pesci prendere, stop infiniti e ritorni troppo brevi, fino alla sofferta decisione di smettere. Tra l’ultima partita in maglia rossonera, la sfortunata finale di Coppa Campioni contro il Marsiglia, che tra l’altro giochi in condizioni pessime, e l’addio definitivo passano due anni. E non c’è giorno in cui una fila interminabile di persone non faccia capolino a Milanello a chiedere di te, a cercare di darti forza, mentre tu, davanti allo specchio, probabilmente cominci a renderti conto che la forza da sola non basta più. Come sta Marco? Quando torna Van Basten? Non sono semplici domande, ma piuttosto il grido straziante di una generazione che capisce che il destino gli sta portando via il suo eroe.

Ma anche nel devastante momento del ritiro, nella tristezza dei tanti che come me hanno dovuto ripiegare i poster appesi sui muri e relegare le tue gesta nella gloriosa e malinconica galleria dei ricordi, resta la fortuna di aver potuto ammirare la tua classe immensa. Resta l’amore per questo magnifico gioco che hai saputo instillare in grandi e piccini. E soprattutto resta quella piccola punta di orgoglio che ogni bambino, anche il più scarso di ogni combriccola, ha provato quando, gonfiata la rete, ha potuto alzare le braccia al cielo e sentirsi, anche per un solo istante, Marco Van Basten. Perché se questa è davvero una fiaba, allora Andersen insegna. Non importa che sia nato in un recinto d’anatre: l’importante è essere uscito da un uovo di cigno.

trovata in rete, fattoquotidiano.it




Avevo la sua foto sul comodino, abbiamo gli stessi anni è nato qualche mese prima di me, è un ricordo che fa ancora più soffrire i tifosi che vedono la merda tipo oggi, riguardo Van Basten, lui un cigno, ma il Tulipano nero(gullit) e il professor Rijkaard due carro armati che hanno fatto la sua fortuna, un encomio a Sacchi che per 3 anni l'ha sbattuto in area a pigliar scarpate alla caviglia, si permise di dire "o io o Van Basten" il cavaliere pensò bene di mandare fuori dai coglioni lui, arrivò Capello e fece giocare Van Basten più arretrato, in pratica il gioco consisteva che non dovevi fare tutta la partita in avanti(come oggi) e perdere 0-1, ma bensi ripartire di rimessa, il Milan fece i Record e Van Basten segnò il doppio, ma oramai la sua caviglia era compromessa da tutte le botte che aveva preso prima, Pasquale Bruno mitico scarparo anni 80/90 aveva una sua foto di Marchitiello sul comodino come avevo io, d'altronde quando incontri certi giocatori se non vuoi vedere la palla nel sacco, un occhio di riguardo più che la palla va alla caviglia, qualcuno sapeva che aveva problemi li [SM=x44458] e li continuavano a colpirgliela.
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IperSincerone 2015
05/02/2017 19:34

Montella adesso non ne sta azzeccando una, errori su errori...

Il gioco c'è, ma ancora con il dictat della difesa a 4...Romagnoli e Kucka terzini, ridicolo.
Ancora con i capitani vomitevoli, oggi addirittura Zapata, una riserva che rinnova i "fasti" di Muntari e Mexes!
Ancora con la fissa degli esterni a piedi invertiti
Ancora con il dogma dell'unica punta, nemmeno sotto prova i due attaccanti!

Però la squadra è fatta col culo.
Piccola spiegazione.
Bertolacci-Pasalic-Sosa- era il trio di centrocampo di oggi; bene, sono tutti e tre TREQUARTISTI, non centrocampisti! Sono adattati, alla meno peggio! Ci credo che giocano da schifo [SM=x44491]


Bertolacci a Lecce e nel Genoa giocava dietro l'unica punta, soprattutto con inserimenti e qualche assist: NON E' una mezzala o un mediano

Pasalic in Croazia e nel Monaco giocava nel 4-2-3-1 nel trio dietro la punta. E' stato anche provato più dietro, ma senza troppi frutti

Sosa? Sempre stato colui che agiva dietro gli attaccanti, tranne da ragazzino.

Honda? Trequartista centrale. Ma qui giocava ala...ora è scomparso.

Poli? Mediano si. Scarso e scomparso però.
Montolivo. Finito e rottissimo.

Il 19enne e Kucka sono imprescindibili. Ma il primo non può essere incaricato del ruolo di perno del gioco! Un 4-2-3-1 nooo?? [SM=x44472] [SM=x44493]

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05/02/2017 19:54

Re:
M.Van Basten, 05/02/2017 19.34:

Montella adesso non ne sta azzeccando una, errori su errori...

Il gioco c'è, ma ancora con il dictat della difesa a 4...Romagnoli e Kucka terzini, ridicolo.
Ancora con i capitani vomitevoli, oggi addirittura Zapata, una riserva che rinnova i "fasti" di Muntari e Mexes!
Ancora con la fissa degli esterni a piedi invertiti
Ancora con il dogma dell'unica punta, nemmeno sotto prova i due attaccanti!

Però la squadra è fatta col culo.
Piccola spiegazione.
Bertolacci-Pasalic-Sosa- era il trio di centrocampo di oggi; bene, sono tutti e tre TREQUARTISTI, non centrocampisti! Sono adattati, alla meno peggio! Ci credo che giocano da schifo [SM=x44491]


Bertolacci a Lecce e nel Genoa giocava dietro l'unica punta, soprattutto con inserimenti e qualche assist: NON E' una mezzala o un mediano

Pasalic in Croazia e nel Monaco giocava nel 4-2-3-1 nel trio dietro la punta. E' stato anche provato più dietro, ma senza troppi frutti

Sosa? Sempre stato colui che agiva dietro gli attaccanti, tranne da ragazzino.

Honda? Trequartista centrale. Ma qui giocava ala...ora è scomparso.

Poli? Mediano si. Scarso e scomparso però.
Montolivo. Finito e rottissimo.

Il 19enne e Kucka sono imprescindibili. Ma il primo non può essere incaricato del ruolo di perno del gioco! Un 4-2-3-1 nooo?? [SM=x44472] [SM=x44493]



Si parte da un presupposto, la palla deve andare dentro, Bacca su azione non segna da una vita, il suo sostituto Labadula è meglio che suona il pianoforte, in 2 partite si è lapidato 2 gol davanti al portiere, questo non segna neanche su rigore.
Zapata? A questo punto chi cazzo ci metti li in difesa?
Sosa? Menomale che lo hanno espulso, questo non c'entra un cazzo in regia, un pallone che un pallone non riusciva a passarlo rasoterra, poi lasciamo perdere i tiri dalla distanza! Sembra che ce l'ha con qualche d'uno del primo anello.
Manovra troppo macchinosa, un 12 milioni di euro dovevano metterli sul piatto per prendere uno scarparo d'area, a questo punto vai avanti con Bacca e il pianista.
Porca puttana!! Mi girano i coglioni che un Parolo fa 4 gol in una partita e noi sono 4 partite che per fare un gol bisogna andare a Lourdes, riproviamo con Bologna.
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05/02/2017 20:11

Bertolacci era uno dei calciatori che più prendevo per il culo. Un incubo quando si materializzo' a Milanello.

Sosa è una tangente pagata a Galliani
Storari è una tangente; Gabriel a Cagliari non gioca mai infatti
Pasalic è un prestito....più gioca e meno paghi, che formula geniale! Imposto dall'alto.
Honda...un giapponese preso in Russia. E trequartista #354

A Poli hanno rinnovato? Quest'anno era in scadenza...
Rinnovo triennale a Zapata e Montolivo nel 2015
Dove si vuole andare con questa dirigenza da vomito? In B solamente.

Bacca ha bisogno di ali sul proprio piede! Cazzo! Non dialoga, ma ha bisogno di cross. E sta giovando male male anche. L'ambiente è marcio, da fine impero e buoi scappati dalle stalle.
[Modificato da M.Van Basten 05/02/2017 20:17]

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05/02/2017 20:32

Re:
M.Van Basten, 05/02/2017 20.11:

Bertolacci era uno dei calciatori che più prendevo per il culo. Un incubo quando si materializzo' a Milanello.

Sosa è una tangente pagata a Galliani
Storari è una tangente; Gabriel a Cagliari non gioca mai infatti
Pasalic è un prestito....più gioca e meno paghi, che formula geniale! Imposto dall'alto.
Honda...un giapponese preso in Russia. E trequartista #354

A Poli hanno rinnovato? Quest'anno era in scadenza...
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Dove si vuole andare con questa dirigenza da vomito? In B solamente.

Bacca ha bisogno di ali sul proprio piede! Cazzo! Non dialoga, ma ha bisogno di cross. E sta giovando male male anche. L'ambiente è marcio, da fine impero e buoi scappati dalle stalle.



Questi ci sono, in B non ci vai visto le ultime 3 Longobarde, oramai prenderla come viene, sembra che sti Cinesi stanno monetizzando e a Giugno si rifà tutto da capo, a questo punto visto oggi conviene prendere tutto quello che viene di buono, Montella? Se non vuole fare la fine degli altri sta a lui inventarsi qualcosa, la rete che si gonfia è diventata un miraggio, in porta si arriva ma la palla non va dentro, poi la mettono gli altri magari anche su un rigore cercato di merda.

Si devono svegliare
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05/02/2017 20:38

Questi portano sfiga!! vaddavialcù!!!!!!!!!
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05/02/2017 21:05

peccato che quelli dell'inter invece no

sunning sta facendo le cose in grande, ha contattato conte per la prossima stagione

gli ha offerto 16 milioni di euro l'anno per 5 stagioni e 400 milioni per la prossima sessione estiva

se continua così vincerà tutto nei prossimi anni

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05/02/2017 22:15

Re:
M.Van Basten, 05/02/2017 20.11:

Bertolacci era uno dei calciatori che più prendevo per il culo. Un incubo quando si materializzo' a Milanello.

Sosa è una tangente pagata a Galliani
Storari è una tangente; Gabriel a Cagliari non gioca mai infatti
Pasalic è un prestito....più gioca e meno paghi, che formula geniale! Imposto dall'alto.
Honda...un giapponese preso in Russia. E trequartista #354

A Poli hanno rinnovato? Quest'anno era in scadenza...
Rinnovo triennale a Zapata e Montolivo nel 2015
Dove si vuole andare con questa dirigenza da vomito? In B solamente.

Bacca ha bisogno di ali sul proprio piede! Cazzo! Non dialoga, ma ha bisogno di cross. E sta giovando male male anche. L'ambiente è marcio, da fine impero e buoi scappati dalle stalle.




Ormai bisogna sperare che il passaggio di proprietà avvenga in fretta per vedere ricostruire qualcosa di buono... [SM=x44464]
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