Clash, il punk che ritorna
di Emanuele Coen per L'Espresso
Film, documentari e ora una mostra intitolata 'London Calling', con i ritratti firmati da Adrian Boot. Così nella capitale britannica rinasce il mito della band di Joe Strummer
(21 dicembre 2010)
Punk's not dead, il punk non è morto. Anzi, gode di ottima salute.
Dopo il documentario di Julien Temple
Joe Strummer: The future
is unwritten (2007) e il recente film di Don Letts
Strummerville, dedicati al vocalist dei Clash scomparso
nel 2002 a cinquant'anni, gli omaggi alla storica band punk rock
britannica si susseguono, mentre nelle strade di Londra esplode la
protesta degli studenti contro l'aumento delle rette universitarie.
I due ex Mick Jones e Paul Simonon, rispettivamente chitarrista e
bassista, tornati insieme quest'anno per il disco dei Gorillaz
Plastic Beach, sono i produttori esecutivi del nuovo
lungometraggio biografico
London Calling sulle session di
registrazione dell'album doppio del 1979 - quello con la copertina
che ritrae Simonon mentre sfascia il basso sul palco, una delle
pietre miliari del rock - che impose il gruppo negli Stati Uniti
all'indomani della morte di Sid Vicious. Le riprese dovrebbero
iniziare nelle prossime settimane.
Nel frattempo, dall'album più celebre di Strummer e soci prende
spunto anche la mostra fotografica
London Calling: The
Clash by Adrian Boot, fino al 30 gennaio alla galleria Proud
Camden (www.proud.co.uk) nella capitale britannica. Cinquantotto
scatti, a colori e in bianco e nero, alcuni dei quali inediti (vedi
la galleria fotografica), realizzati da Adrian Boot, uno dei più
affermati fotografi musicali britannici (all'epoca in forze al
settimanale Melody Maker, oggi titolare dell'agenzia fotografica
Urban Image tv) personaggio
eclettico e memoria visiva di quegli anni irripetibili. Boot
trascorreva intere giornate con i Clash, li seguiva nei leggendari
concerti, nei momenti privati, nelle interminabili prove nello
studio Gin House, nel cuore dello Stables Market di Camden, la sede
originaria della galleria Proud che ospita la retrospettiva. Fino
allo scioglimento, alla metà degli anni Ottanta.
Il suo ritratto dell'"unica band che conti" è struggente,
l'affresco di un'epoca e di uno stile che ha fatto scuola per
decine di band fino ai giorni nostri: anfibi, "clippers", chiodi
attillati in pelle nera, spille da balia, fino alle propaggini ska
più recenti, scarpe lucide bianche e nere, giacche a tre bottoni.
Punk's not dead, appunto.